Il Ministero del lavoro ha diffuso la nota n. 2504 del 10-4-2025 contenente alcune precisazioni sulla procedura delle dimissioni per fatti concludenti introdotta dall’articolo 19 della Legge 203/2025 (Collegato lavoro).
Si tratta di una risposta a due quesiti posti dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro in merito alla circolare dello stesso Ministero n. 6 del 27-3-2025 (circolare n. 50/25).
Il primo quesito riguarda la possibilità per la contrattazione collettiva di ridurre il limite minino di assenza di 15 giorni (per il Ministero di calendario) per poter avviare la procedura di cessazione del rapporto di lavoro.
L’Ente istante ritiene che il limite legale di 15 giorni di assenza ingiustificata abbia natura residuale e operi solo in mancanza di previsioni nel ccnl.
Il Ministero, pur concordando su questa affermazione, ricorda però che l'espressione utilizzata dal legislatore, per la quale il termine predetto deve ritenersi "in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni", ha fatto propendere per la considerazione, di prudenza, della non agibilità della previsione di termini inferiori da parte della contrattazione collettiva.La prudenza del Ministero in merito a questa procedura, complicata e potenzialmente foriera di problemi, è condivisibile.
C’è anche una ulteriore considerazione pratica: l’ipotesi di dimissioni di fatto non è stata accolta con favore - per usare un eufemismo - da parte di Cgil, Cisl e Uil. È quindi difficile che, in futuro, siano sottoscritti Ccnl con termini inferiori ai 15 giorni (anche se la Legge 203 per qualificare i contratti collettivi nazionali non fa riferimento all’articolo 51 del Dlgs 81/2015 e questo potrebbe lasciare aperta la strada alle modifiche ipotizzate dall’Ordine dei Cdl).
Cogliamo l’occasione per segnalare un’ulteriore criticità.
La circolare n. 6 ha precisato che i giorni di assenza minimi per attivare la procedura devono essere considerati di calendario.
Il termine di 15 giorni è abbastanza ampio in caso di rapporti di lavoro a tempo pieno o parziale orizzontale. È molto più delicato il caso di lavoratori con rapporto a tempo parziale verticale con pochi giorni di lavoro: in caso di un rapporto di lavoro di un giorno alla settimana, in 15 giorni di calendario, i giorni di lavoro sono solo 3 (in genere quelli che i ccnl considerano ai fini del licenziamento disciplinare).
Il secondo quesito riguarda le conseguenze nel caso in cui il datore di lavoro non proceda al ripristino del rapporto di lavoro, ritenendo insufficiente la prova offerta dal lavoratore o non condividendo la verifica dell'Ispettorato o ancora nell'ipotesi di presentazione delle dimissioni per giusta causa successivamente alla procedura menzionata.
Il Ministero distingue due ipotesi.
a) Qualora l’Ispettorato territorialmente competente verifichi l'insussistenza dei motivi per le dimissioni per fatti concludenti il rapporto di lavoro dovrà pur sempre essere ricostituito per iniziativa del datore di lavoro. Nel caso in cui quest'ultimo ritenga comunque non valide le ragioni del lavoratore, si ritiene non possa operare alcuna automaticità della ricostituzione del rapporto di lavoro.
b) Se prima della conclusione della procedura il lavoratore comunica le proprie dimissioni, queste ultime produrranno gli effetti previsti dalla legge dal momento del loro perfezionamento.
In caso di dimissioni per giusta causa, la verifica della sussistenza delle ragioni sottostanti l'atto di recesso del lavoratore potrà essere oggetto di successivo contraddittorio tra le parti, presso le sedi consuete, compresa quella giudiziale (in questo caso il datore di lavoro avrebbe raggiunto il proprio obiettivo della cessazione del rapporto senza versamento del ticket).
In merito al punto a) ci si domanda come il datore di lavoro possa sindacare le ragioni o la prova fornita dal lavoratore, considerato che le verifiche vengono condotte dall’Itl e che il dipendente non è tenuto a comunicare alcunché al datore.
La circolare n. 6 aveva però affrontato un caso un po’ diverso precisando che la procedura telematica di cessazione a seguito di dimissioni per fatti concludenti, avviata dal datore di lavoro, viene resa inefficace se lo stesso riceva successivamente la notifica da parte del sistema informatico del Ministero dell’avvenuta presentazione delle dimissioni da parte del lavoratore. Pertanto, anche la presentazione di dimissioni per giusta causa tramite il sistema telematico da parte del lavoratore – ferma restando la necessità di assolvere il relativo onere probatorio secondo le modalità descritte dalla circolare INPS n. 163 del 20 ottobre 2003 – prevale sulla procedura di cessazione per fatti concludenti avviata dal datore di lavoro.
La procedura telematica non si prolunga nel tempo tanto da poter essere interrotta: fatta la comunicazione per dimissioni di fatto, il rapporto di lavoro è concluso. Quindi anche in questo caso la cessazione dovrebbe essere considerata per dimissioni “normali” o per giusta causa.
La nota non affronta il caso del lavoratore che direttamente al datore di lavoro dimostra l'impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza.
In questo caso il datore di lavoro può accettare le motivazioni del lavoratore e ricostituire motu proprio il rapporto di lavoro oppure non accettarle. In questo caso il lavoratore può rivolgersi all’Itl per far accertare le sue istanze o aprire una vertenza.
Riteniamo però che anche in questo caso il datore di lavoro non sia tenuto al ripristino del rapporto di lavoro con probabile contenzioso.
In ALLEGATO la circolare Lavoro Previdenza n° 59