Primo Piano

COOPERAZIONE ED ECONOMIA SOCIALE, RUOLO CENTRALE PER LO SVILUPPO

Celebrata l'assemblea di Confcooperative Terre d'Emilia

lunedì 1 dicembre 2025

Continua a crescere il sistema imprenditoriale che fa capo a Confcooperatie Terre d’Emilia, che nelle province di Bologna, Modena e Reggio Emilia raggruppa 619 cooperative con 175.980 soci, 46.541 occupati e un fatturato di 9,2 miliardi di euro.

Nell’ultimo anno - come ha ricordato il presidente dell’organizzazione, Matteo Caramaschi, aprendo l’assemblea annuale della centrale cooperativa - il numero degli addetti è aumentato del 2,2%, mentre il fatturato è salito del 5,4% e il patrimonio netto ha segnato un +2,1%.

Una crescita, peraltro, che è stata ancora più intensa nelle aree interne e, in particolare, in quelle appenniniche, confermando una paecularittà – ha aggiunto Caramaschi – che distingue la cooperazione in termini di legame con il territorio e la colloca al centro di quell’economia sociale cui è oggi dedicato il nascente Piano nazionale.

E proprio a questo piano – ha ricordato il presidente di Confcooperative Terre d’Emilia – si legano importanti chances non solo e non tanto per la cooperazione, ma per un Paese che “ha bisogno di accelerare fortente su uno sviluppo sostenibile fondato su nuove opportunità per tutti, su un’equa distribuzione dei redditi che vada a sancire reali principi di giustizia sociale”.

Al centro dell’attenzione del legislatore (che, dopo l’approvazione del Piano, dovrà tradurre in atti i riconoscimenti di principio in esso contenuti) c’è un ampio mondo di enti e imprese che complessivamente occupa 1.350.000 persone, di cui 1.100.000 dipendenti di cooperative.

Da Confcooperative Terre d’Emilia, dunque, valutazioni molto positive su un’impalcatura legislativa che, tra l’altro, riconosce il valore della cooperazione come impresa sociale in tutti i comparti, vale a dire dall’agricoltura alla casa, dal welfare ai servizi alle imprese, dallo sport al credito.

Tre, secondo il presidente Caramaschi, le grandi sfide cui sono attesi la cooperazione, tutto il sistema imprenditoriale e le aministrazioni pubbliche: la formazione al lavoro, la casa (tra le grandi emergenze che richiedono anche l’intercettazione di risorse finanziarie pubbliche, ma anche di un capitale privato non speculativo) e l’invecchiamento della popolazione, che nel 2050, in Emilia-Romagna, vedrà la presenza di 284 anziani (oggi 201) ogni 100 bambini.

E’ anche su questi versanti, allora, che serve quella “ricucitura sociale” di cui ha parlato il vicepresidente della Regione Emilia-Romagna, Vincenzo Colla (impegnato nella costruzione di una nuova legge regionale per l’economia sociale), secondo il quale la preoccupazione, oggi, non riguarda il lavoro tout court, ma soprattutto il lavoro povero.

Nell’ambito dell’Assemblea, presieduta da Ireneo Maruccia, vicepresidente di Confcooperative Terre d’Emilia, si è quindi aperta la tavola rotonda dedicata al nuovo Piano nazionale per l’Economia Sociale, con la partecipazione dell’On. Lucia Albano, Sottosegretario del Ministero dell’Economia e delle Finanze con delega all’economia sociale, che ha sottolineato come il Piano consenta di “restituire dignità e protagonismo agli attori dell’economia sociale”, aggiungendo l’indicazione di una possibile costituzione di uno specifico punto di riferimento che consenta di stringere una forte collaborazione tra diversi dicasteri.

In dialogo, Daniele Ravaglia, vicepresidente Confcooperative Terre d’Emilia, che ha sottolineato le sfide prioritarie per l’ecosistema cooperativo bolognese e le attese rispetto agli strumenti nazionali e all’aggiornamento del Patto per il lavoro e per il clima, sottolineando il valore di una sempre più stringente coprogettazione. “Il Piano nazionale – ha aggiunto – riconosce il bene pubblico che viene generato dalla cooperazione, che nel proprio DNA ha sempre avuto diversi obiettivi tra quelli definiti con l’Agenda 2030 dell’Onu”.

A portare nella tavola rotonda la visione delle istituzioni locali è stata Daniela Freddi, responsabile del Piano metropolitano dell’economia sociale della Città Metropolitana di Bologna, concentrandosi sulle sinergie attese con il Piano nazionale, ma anche con la Regione e l’Unione Europea. “Il nostro ruolo – ha detto – è costruire progettualità, individuare risorse in una logica di alleanze anche con il privato, e le prime azioni sulle aquali stiamo lavorando riguardano l’abitare, ambito nel quale la cooperazione è già molto attiva”.

Il dibattito si è arricchito degli interventi di Paolo Venturi, direttore Aiccon, che ha analizzato caratteristiche, punti di forza e prospettive dell’economia sociale nel contesto nazionale ed europeo (“il valore sociale”, ha detto tra l’altro, “non è un plus, ma un punto di partenza”), e di Gabriele Sepio, docente di diritto tributario, chiamato ad approfondire il tema della fiscalità e degli strumenti di investimento previsti dal Piano.

A concludere i lavori, il presidente nazionale di Confcooperative Maurizio Gardini, che ha espresso grande soddisfazione per il lavoro che si è compiuto con il Piano nazionale per l’economia sociale, a partire dal suo incardinamento nel ministero dell’Economia. Un Piano che contiene una visione chiara del valore della cooperazione nell’ambito del perimetro dell’economia sociale dopo anni in cui la politica è apparsa dapprima disattenta alla cooperazione e poi caratterizzata da ritrosia nell’affrontare i temi cooperativi, incluso il rifiuto del Parlamento a lavorare sulla legge di iniziativa popolare contro le false cooperative.

Il Piano dovrà svilupparsi, una volta approvato, in provvedimenti specifici per un ampio mondo di enti e imprese e, secondo Gardini, sarà primario l’obiettivo di provvedimenti fiscali “che non rappresentano privileghi, ma il riconoscimento di meriti di chi, molto spesso, sta in luoghi e in settori dai quali tutti se ne vanno, fuorchè quei soggetti dell’economia sociale che restano a presidiare, a generare lavoro, servizi e coesione sociale”.

L’Assemblea ha evidenziato un quadro chiaro: l’economia sociale rappresenta un pilastro dello sviluppo sostenibile del Paese, una leva competitiva e comunitaria insieme. La collaborazione tra istituzioni, imprese cooperative e mondo dell’innovazione sociale sarà decisiva per trasformare il Piano nazionale in politiche capaci di generare lavoro, diritti, impatto e sviluppo nei territori.

 

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